La solita polemica bacchettona sugli stimoli del mondo moda a vestire i panni dell’anoressia.
La solita polemica sul femminismo e sul mito del proprio corpo e della propria immagine.
E poi una morte, truce, angosciante, un suicidio di una bambina di 11 anni, questa si affetta da anoressia nervosa.
Da subito dissipiamo ogni forma di dubbio, non c’è alcun legame stretto tra la polemica suscitata dalla copertina di Marie Claire di Novembre, che ritrae una modella in posa che riecheggia una condizione non proprio salubre, e il triste evento accaduto a Torino pochi giorni fa.
In realtà però mi permetto di dire che ci sono diversi legami logici tra quello che è scaturito dal dibattito relativo alla copertina del mensile di moda e l’evento funesto che ha riguardato la bambina di Torino.
Partirei da una frase che mi ha molto colpito e cioè dall’affermazione della Direttrice Antonelli in risposta alle polemiche suscitate dall’immagine proposta del suo giornale: << Noi non abbiamo mai creduto in un solo ideale di bellezza femminile, ma al contrario crediamo nella consapevolezza di ogni donna di sentirsi bene nella propria pelle, compresa in una sana taglia 38!>>.
Probabilmente la Direttrice non ha mai avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con una ragazza affetta da anoressia (cosa che mi risulta un po’ improbabile visto la percentuale di modelle affette da tale disturbo), e non ha mai potuto costatare che anche ben al di sotto della taglia 38 ci si può sentire sani, consapevoli e allineati verso un ideale di bellezza che si incarna in uno scricciolo di scheletro deambulante.
La questione della consapevolezza e della libertà di perseguire il proprio ideale, retaggio indiscusso della battaglia femminista postsessantottina, è ciò che sostiene una cultura utilizzata per arginare la sensazione d’impotenza imperante, di angoscia dilagante e il vuoto ontologico di cui sono affette la attuali generazioni.
La domanda ora è d’obbligo: quale effetto ha l’incontro tra la cultura del libero perseguimento dell’ idea/ideale e della consapevolezza e la gracilità psichica delle vite umane attuali?
Il punto su cui orientare il discorso, mi parrebbe di dire, è che bisognerebbe esercitare un minimo di responsabilità etica, rispetto al mondo in cui viviamo, e di pensiero consapevole su ciò che alcune scelte sociali e culturali producono in termini di agio o disagio psichico.
Il problema non è l’immagine della modella ma ciò che non si vede di quell’immagine e quello che la determina, e cioè il saper che basta sostenere la liberta di essere e che tutto torna al posto dove era, alla sana taglia 38, oppure nell’onnipotenza di essere in risposta al vuoto che ci attanaglia.
L’immagine ha un potere enorme, soprattutto l’immagine in relazione all’ideale, questo non si può e non si deve tacere.
Cara Direttrice lei non sa ma ha utilizzato un potente ossimoro nell’accostare la libertà all’ideale.
Come insegna la psicoanalisi, la filosofia, la fenomenologia, l’idea, l’ideale sono gabbie e non certo ancelle della libertà.
Ideali come gabbie che oggi molto più di ieri, si cuciono addosso ai corpi dei ragazzi che non sanno proprio come strapparsi di dosso questo fardello, anzi ne restano invaghiti, ipnotizzati, simbioticamente legati ed essi come un mantello protettivo contro le loro misere fragilità.
Ideale che proprio come nel caso della bambina di Torino da un lato la difendeva da quel vuoto che poi l’ha inghiottiva e dall’altro le impediva di crescere e di conoscere il mondo.
Fare un salto nel vuoto, è proprio questo il dramma di chi riempie la propria esistenza di ideali, immagini, forme, figure, taglie ecc ecc. e di chi si illude che la liberta passi attraverso un idea.
È vero, è proprio la solita polemica fatta da terapeuti bacchettoni che si scagliano come dei savonarola contro il mondo del femminismo, della moda, della bellezza.
È vero, è arrivato il momento di dire le cose per quelle che sono, di dare un valore all’esperienza a cui da anni assistiamo stupefatti, e ciò alla faticosa lotta di chi passa dall’illusione alla realtà, dall’immagine al corpo, dalla morte alla vita.
Su questo non possiamo che essere maledettamente e polemicamente sinceri.
Dott. Leonardo Mendolicchio
Psichiatra -Direttore sanitario e responsabile clinico di Villa Miralago a Varese